I giorni dell'emergenza
Firenze Piazza del Duomo
(Foto Nicla Falconi)
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La prima cosa che si può fare quando una calamità delle proporzioni di quella abbattutasi su Firenze la notte del 4 novembre ’66 minaccia di distruggere, oltre alla sicurezza degli uomini, il loro patrimonio di cultura, è scrollarsi di dosso lo sbigottimento per frapporsi fra la sventura ed i suoi effetti, cercando di interrompere il nesso con cui l’una alimenta l’altra. Nel caso concreto bisognò entrare in acqua - e non certo in senso metaforico - onde cercare di salvare prima possibile, quella parte del materiale archivistico che era bruscamente passata, con dimensione di catastrofe, dalle cure gelose dei conservatori alla balia delle acque e del fango” (
A. ANTONIELLA, Pubblicazioni sull’alluvione del 4 novembre 1966, in “Archivio Storico Italiano”, n. IV, 1967, pp. 488-95).
Per quanto riguardava gli archivi, le difficoltà maggiori nascevano dall’impossibilità di avere cognizione delle reali dimensioni del danno, data la vastità del materiale colpito e l’incertezza della sua dislocazione. In una relazione del 9 ottobre 1967, conservata nell’archivio della Soprintendenza Archivistica, il funzionario Renzo Ristori scrive:
le difficoltà erano accresciute dalla loro dislocazione in locali situati in luoghi dove non era agevole accedere nei giorni successivi all’alluvione. Così fu alquanto arduo sapere subito cos’era successo, quali archivi erano stati colpiti, di che natura erano i documenti che dovevano considerarsi gravemente compromessi o addirittura perduti.
La Soprintendenza Archivistica si trovò così a fronteggiare una situazione drammatica mai vista prima, che di ora in ora andava assumendo dimensioni sempre più ingenti.
Il soprintendente Giulio Prunai si mise immediatamente all’opera insieme ai suoi due funzionari e, a brevissima distanza dal giorno dell’alluvione, fu in grado di elaborare una prima ricognizione dei danni e di disporre i primi interventi per la salvaguardia degli archivi colpiti.