Giovanni Pascoli nello specchio delle sue carte

Cinquant’anni dopo. Il senso di un anniversario

Veduta del centro storico di Firenze alluvionato
Veduta del centro storico di Firenze alluvionato
(Foto padre D'Souza Alessio)
E quindi son passati cinquanta anni da quel 4 novembre 1966, cinquanta anni da quella distruzione e da quella disperazione. Per trovare una simile distruzione di patrimonio culturale bisogna risalire agli anni della guerra, ma lì era la barbarie che faceva saltare i ponti di Firenze, non un nemico nascosto nelle pieghe della natura che improvvisamente fa gonfiare e ribollire il fiume fino a farlo irrompere nelle strade, nelle case, nelle botteghe, nelle chiese, nelle biblioteche, nei musei, negli archivi.
 
Quel 4 novembre di cinquanta anni fa l’equilibrio tra Firenze e il suo fiume si rompe in modo tragico e inaspettato. Non è la prima volta: la storia ce lo conferma, eppure l’alluvione del 1966, che arriva in pieno boom economico quando nessuno ricorda il passato e tutti si sentono proiettati nel futuro, sembra uno schiaffo intollerabile, ed è una ferita che brucia ancora.
 
Una ferita tanto più profonda in quanto si accanisce su quel fragile patrimonio fatto di carte e di pergamene costituito dagli archivi. Gli archivi conservati nell’Archivio di Stato, così come quelli disseminati nella città (ma anche in tutta la Regione) su cui vigila la Soprintendenza Archivistica. Un patrimonio immenso e poco conosciuto fatto di archivi familiari, di istituzioni di governo del territorio, di enti e associazioni, di imprese e di persone. Salvare tutta la memoria, a chiunque appartenga: questo l’imperativo categorico che muove il piccolo manipolo di persone che giorno e notte, senza risparmiarsi e senza cercare palcoscenici, lavora fianco a fianco con il Soprintendente Archivistico Giulio Prunai, insieme a volontari e studenti italiani e stranieri che intervengono generosamente. Tutta la memoria, al di là delle distinzioni di appartenenza giuridica, perché ognuno è consapevole che quel “tutta” significa comunità, cittadinanza, civiltà.
 
L’alluvione del 1966 è soprattutto questo: una prova di capacità operativa e un test di tenuta sociale. Ma non va dimenticato che è anche una frattura, un discrimine culturale. Essa denuncia senza riguardi l’insopportabile fragilità del tempo, della storia, della cultura e delle sue tracce e quindi anche del presente. Dal 1966 in poi sarà sempre più chiaro (nella storia, nell’arte, nella poesia, nella musica) che il tempo si è incrinato come uno specchio rotto e ci rimanda un’immagine frammentata di noi stessi. L’impegno di quanti combatterono per alleviare quella ferita e riparare, per quanto possibile, alle sue conseguenze rappresenta forse l’atto più commovente di misericordia e cura rivolto dalla nostra epoca nei confronti di se stessa e della propria fragile, ulcerata identità.
 
Diana Marta Toccafondi
Soprintendente Archivistico e Bibliografico della Toscana (Firenze, 9 ottobre 2016)
 
 

Il percorso

Il percorso La memoria nel fango: la Soprintendenza Archivistica per la Toscana e l’alluvione del 1966, prodotto nell’ambito del progetto “500 giovani per la cultura”, ricostruisce i giorni dell’emergenza, gli interventi e le linee di azione adottate fin dai primi momenti nel generoso sforzo di affrontare, con pochissimi mezzi, una situazione di una gravità disperante e fornisce elementi per comprendere l’entità del danno provocato dall’alluvione, sia a Firenze che in Toscana, agli archivi pubblici e privati, cioè a quegli archivi su cui la Soprintendenza esercitava ed esercita i propri compiti di tutela e vigilanza. Alcune storie di salvataggio e restauro di archivi fortemente danneggiati, recuperati subito o ritrovati dopo molti anni, costituiscono altrettanti casi esemplari.
 
Perché esemplare fu, nella sua gravità, l’alluvione del 1966: da essa prese le mosse un modus operandi nella salvaguardia degli archivi che, facendo tesoro di quella tragica esperienza, è andato affinandosi nel corso degli anni e ha dato buona prova anche in interventi emergenziali più recenti.